giovedì 31 dicembre 2015

I Navigli al traguardo?

Quelli attorno al Capodanno sono, come d’uso, tempi di bilanci, il momento in cui si tirano le somme. Queste frasi “fatte” celano il problema cui vogliamo alludere, perchè per quanto riguarda i Navigli il fatto è esattamente questo, una questione di quadratura del bilancio.
Infatti le “cose idriche di superficie” in città vanno per il meglio, almeno sul piano politico e regolamentare: la valanga dei “sì” alla riapertura registrata nel 2011 si è tradotta in numerosi altri “sì”. Commissioni di autorevoli conoscitori dei vari problemi connessi hanno espresso il loro assenso al progetto, ancorchè graduale, di riaprire la Cerchia. E lo hanno motivato sotto i diversi aspetti: da quello tecnico a quello finanziario; da quello legato ai problemi della falda acquea sotterranea a quello delle presunte difficoltà connesse ai numerosi incroci nel sottosuolo (la metropolitana, le linee elettriche e telefoniche ecc.).
Positivo, come non poteva non essere, il giudizio sulle ricadute turistiche. Eppure il problema resta il denaro, nel senso delle spese pubbliche, ove non si ricorra al finanziamento da parte di società private e anche, eventualità altamente positiva, ad un “azionariato diffuso” da parte dei cittadini che traduca in fatti concreti i desideri dei singoli.
In attesa di altri eventi, i radicali hanno, insieme ad altri, promosso un nuovo referendum, stavolta però di carattere propositivo, che impegni cioè le future amministrazioni comunali, di qualunque colore esse siano: tutto fa sperare per il meglio ma i bilanci restano egualmente una minaccia, qualora altri interventi s’imponessero come prioritari rispetto a quello a noi caro.
In barba alla storia della città, all’incirca da un millennio a questa parte. Vedremo.
Intanto rilanciamo qui le ragioni principali che alcuni vedevano, quasi trent’anni fa, a sostegno della rinascita dei Navigli urbani:
- la bellezza
- l'attrazione che esercita sugli ospiti una città che congiunga le sue perle con vie d'acqua percorribili
- la serenità psicologica, di cui una città moderna ha grande bisogno
- la riduzione del traffico nel centro 
- la diminuzione dell'inquinamento atmosferico e acustico
- il riequilibrio del corpo idrico, pregiudicato dall'estensione dalle cementificazioni e dall'abbassamento della falda freatica
- il dovere morale di rimediare all'illecito amministrativo del 1928.
Ci pare che tutte queste ragioni conservino intatta la loro validità.

Milano e le acque nascoste
Laboratorio “Darsena”

Nel prossimo post inizieremo a trattare quella che è un’innegabile realtà: i Navigli milanesi/pavesi, sono parte di un insieme più ampio, che a ovest va oltre il Ticino e est oltre il Lambro e l’Adda. Anzi si collegano, soprattutto, a oriente con i molti canali e fiumi interconnessi del Bresciano e del Cremonese. E più oltre la pianura umida fra le due grandi dorsali montane e l’Adriatico presenta molti altri insiemi idrici, talvolta veri e propri Navigli, come quelli della città di Padova. I problemi che essi presentano andranno trattati con una visione unificante, anche se questo significherà superare molte difficoltà.


A corollario del testo presentiamo due immagini che parlano da sole, anche se la più recente resta tuttora un poco misteriosa.

mercoledì 31 dicembre 2014

Le contraddizioni di Milano


Una città contraddittoria, anche strana sotto certi aspetti, e tutta la sua storia sta a mostrarlo anche se qui ne toccheremo solo alcuni aspetti. Per esempio, Milano ha oscillato fra momenti tranquilli e spesso di acquiescenza al potere di turno oppure episodi di rivolta o di contrasto, per alcuni dei quali è celebre come le Cinque giornate del 1848 (unico caso di vittoria degli insorti fra le molte rivolte che scossero in quell’anno l’Europa) o i moti del 1898, nati come protesta popolare e tramutati in un massacro dal generale Bava Beccaris, che usò contro la popolazione praticamente disarmata addirittura i cannoni, provocando non meno di 118 morti.
L’unico caduto fra i militari fu un soldato, a quanto pare dal nome ignoto (e la cosa dispiace), che, rifiutatosi di sparare contro i cittadini, venne immediatamente passato per le armi.

Anche più spesso, Milano ha dato luogo a contrasti tra fazioni (potremmo dire tifoserie), qui probabilmente più abbondanti che altrove: l’esempio più noto è la lotta secolare fra i Torriani e i Visconti, conclusasi con la sconfitta dei primi, anzi con la distruzione fisica del loro insediamento, un vero e proprio quartiere, ricco di giardini, collocato in quella Porta Nuova di cui la famiglia era originaria: l’episodio è ancora oggi evocato dalla via delle Case Rotte che dà appunto sull’attuale Piazza della Scala. 

I Visconti, invece, provenivano dal Lago Maggiore e preso il potere, agli inizi del Trecento, vi restarono per due secoli col successivo subentro per via militar-nuziale degli Sforza, dei quali l’ultimo, Ludovico, detto il Moro, è stato forse il più illuminato dei duchi milanesi, esempio di signore rinascimentale. I Visconti costituirono una dinastia che pur basata su di uno stato di non ampie dimensioni ebbe modo d’intrecciarsi con molte casate europee, anche se finì di fatto con l’estinguersi; i Torriani, o della Torre, apparentemente scomparsi, riemersero dopo varie traversie anche grazie all’efficiente servizio di posta che i collaterali Tasso avevano organizzato, a partire dalla Bergamasca: era in quel tempo un compito essenziale e insieme difficile, e non stupisce che i Maestri di posta delle origini, diffondendosi in molte terre del Continente e precorrendo coi loro metodi le poste moderne, abbiano raggiunto nel tempo il titolo di principe, generando molti rami laterali o successivi. Collegati essenzialmente agli Asburgo acquistarono importanza europea, come ancora testimonia la famiglia tedesca dei Thurn und Taxis.
Cè chi vede nel contrasto netto dei colori bianco e rosso che l’insegna ufficiale di Milano presenta una simbolizzazione, anche politica (Resistenza, Sessantotto…) di questa duplicità; ma attenzione, la città è duplice anche sul piano araldico, poiché presenta due stemmi diversi: l’altro è quello in cui campeggia un biscione ondeggiante di un azzurro intenso con un saraceno (il divorato) in bocca, così narra una leggenda non si sa quanto fondata. Lo stemma, che è poi appunto quello della famiglia Visconti e che dovrebbe alludere alla loro presenza nelle Crociate, è nei fatti il “logo” di Milano: anzi molti, persino milanesi, credono che sia questa l’insegna della città. 

Ma la sua importanza viene da lontano: il biscione, o basilisco o come altrimenti lo si vuol chiamare, campeggia ben visibile a cominciare dalle prime mappe “moderne”, nel Cinquecento, e certo ha avuto un peso l’originalità, un po’ aggressiva, del disegno, non confondibile come è invece una croce. Per di più, duecent’anni prima, cioè in contemporanea all’ascesa dei Visconti al potere, Dante lo citò in un verso famoso del Purgatorio (“la vipera che il milanese accampa”): non si creda che il poeta abbia voluto denigrare Milano, se è vero come è vero, che il motto araldico visconteo suonava “Vipereos mores non violabo”, ambedue frasi di significato non immediatamente chiaro.
Mostriamo qui alcuni esempi di come il simbolo del biscione fosse molto diffuso, presentando un boccale recentemente ritrovato negli scavi sotto il Duomo, probabilmente trecentesco, e un affascinante calice, ormai di carattere rinascimentale. Anche se la funzione di rappresentare la Signoria era affidata pure ad altri simboli, come in questa pagina miniata per Francesco Sforza: una scena di caccia molto viva, pur nella sua simmetria di composizione, anche cromatica. È presente anche una donna, che non monta all’amazzone, e campeggia al vertice un falcone minaccioso che chiaramente impersona il potere ducale.

Nei secoli successivi però altre duplicità, contraddizioni, contrasti aspetteranno al varco la città, specie nelle sue vicende acquee, che avevano trovato un temporaneo ma essenziale compimento nel 1496 quando la decisione di Ludovico il Moro permise di collegare la fossa interna di Milano al Naviglio della Martesana, scavato nella seconda metà del Quattrocento.

La storia idrica milanese, sempre sofferta, si trova al momento in cattive acque (se ci perdonate il bisticcio) e non è chiaro se il prossimo futuro la cambierà di segno: cercheremo perciò, all’inizio del nuovo anno, di indovinare quel che ci aspetta.

domenica 21 aprile 2013

Pierrot al Ponte delle Sirenette


Una foto artistica sul Naviglio: dove mai poteva essere ambientata se non al Ponte delle Sirenette? Come dire uno dei luoghi più amati del Naviglio “aristocratico” che nemmeno il regime ebbe il cuore di distruggere, e con esso il podestà De Capitani d’Arzago, quello che disse della copertura del canale “Si tratta di un atto dovuto”, facendosi forte del cattivo odore che spesso ne proveniva.
Pierrot e Pierrette
Un pretesto, in realtà, già superato nel secondo Ottocento, come testimonia l’ingegner Emilio Bignami Sormani, direttore tecnico comunale delle acque e giardini, nelle appendici al suo fondamentale testo del 1866 “I canali della città di Milano”, dove informa sulle modalità con cui le grandi città straniere affrontavano il problema degli scoli domestici nei loro fiumi e canali.
La nostra città purtroppo non brilla per la cura dell’ambiente, tanto che solo nei primi anni del XXI secolo ha risolto il problema dell’inquinamento, fluviale e fognario, arrecato ai Comuni posti a valle: buona ultima, o quasi, fra le metropoli italiane grandi o piccole (insomma i centri urbani sopra i 200.000 abitanti).
Un caso particolare, grave in sé e nelle conseguenze pratiche, fu l’ammaloramento dei Navigli: sotto la copertura in cemento le acque continuavano a scorrere, ma nel 1967 risultò ormai chiaro che la struttura non teneva, le volte cedevano, le acque inquinate e i vapori prodotti dai residui delle lavorazioni industriali erodevano il canale. Il Corriere dell’epoca descrisse con parole assurdamente definitive i danni: «La fossa è ormai, dal punto di vista statico, un’ammalata incurabile, con complicanze di ordine igienico e idraulico». Per oltre un anno appositi cannoni spararono terra e polvere di macerie nei cunicoli e la Cerchia venne così sigillata. La nostra fatica di “scoperchiatori” sarebbe stata molto più lieve senza questa sciagurata decisione…
Ma veniamo alla nostra foto (non siamo riusciti a risalirne all’autore), che ritrae un Pierrot impallidito come sempre dalla biacca però con i colori della veste invertiti rispetto alla tradizione, che lo vuole tutto bianco come la Luna di cui è innamorato, con un piccolo cappello scuro, e solo più di recente adorno di grandi bottoni neri: in questa immagine invece è la Pierrette a indossare questi colori, in una sorta di gioco di positivo e negativo fotografici. I due sono ritratti in un momento di dialogo intimo e collocati in modo da mostrare bene il contesto, sia il tratto della Cerchia fino a corso Venezia sia le Sirenette nella loro originale collocazione, ai piedi delle quali essi si trovano. Durante la copertura il ponte delle Sirenette venne trasferito in un gradevole contesto, quello del Parco Sempione, dove però appare quasi trascurabile alla vista e comunque non più inserito nel tessuto urbano.
La fotografia, che a occhio diremmo di poco precedente al misfatto, emana una sottile malia, che non nasce solo dai personaggi ritratti. Viene anzi fatto di pensare che rappresenti una sorta di manifesto contro il “declino di un’affabilità urbana”,  definito dall’architetto Marco Comolli nel suo breve ma succosissimo “La cancellazione dei Navigli” (Edizioni Theoria, 1994). Recensendolo, un altro attento studioso dei nostri canali, Franco Brevini, conclude: «Se i nostri nonni, che di fronte ai Navigli lamentavano le puzze da inquinamento organico, prezioso nutrimento per le marcite, dovessero risvegliarsi nelle camere a gas del traffico automobilistico, non potrebbero che concludere con Nietzsche che il rimedio è stato peggiore del male».
Del resto molti non condivisero il giudizio del podestà, in uno scontro frontale di posizioni che ci appare assai caratteristico delle vicende milanesi, nato comunque oltre mezzo secolo prima della copertura (e qualcuno si crogiola con espressioni tipo “Milano città del fare”!). Nel 1909 Carlo Linati, che era uno scrittore ma anche un viaggiatore, così diceva: «Giù nel canale l’acqua è di un bel verde giada, lungo i muri, rosea, là dove si specchia il cielo».*
Il progetto dell'architetto Boatti
Ma, se avremo ragione della miopia che troppo spesso è ancora “al potere”, l’antico fotografo potrebbe forse, in un futuro che speriamo prossimo, tornare a scattare un’immagine simile nello stesso posto: seppur mutato da allora, questo avrebbe solo da guadagnare da una rinnovata presenza delle Sirenette nel loro luogo d’origine. Una presenza favorita da un inserimento adeguato nel paesaggio urbano, senza la nevrotica ricerca della fedeltà filologica a tutti costi: potrebbe anche trattarsi di un duplicato, lasciando perciò l’originale là dove è stato ricollocato, un duplicato parzialmente moderno, almeno come materiali. Dov’è scritto che un bel manufatto, nuovo oppure ispirato all’antico, diventa brutto perchè è nato secoli dopo il contesto in cui si viene a trovare? E se ci si guarda in giro, vedremo che Milano ne è piena.
Nel suo sito il professor Emilio Battisti ne presenta un convincente ritorno, secondo il progetto dell’architetto Antonello Boatti.

*Per vedere la citazione completa e ammirare il dipinto evocatore di Filippo Carcano ambientato nelle vicinanze, cliccare su Archivio Filippo Carcano


Curioso scoprire che il nome Pierrot, che parrebbe francesissimo, è in realtà la traduzione di Pedrolino, uno dei primi “servi” della commedia dell’arte italiana, che aveva a sua volta tratto la casacca da quella ben nota di Pulcinella. Cambiamento dopo cambiamento il personaggio venne adattato al gusto dei francesi fino a prendere caratteristiche sentimentali e malinconiche e divenire lo straniato mimo innamorato della Luna (comparso col nome di Gilles nel notissimo quadro di Watteau), magistralmente interpretato da Jean-Gaspard Debureau che ne definì l’aspetto attuale. La vita di Debureau ispirò a Marcel Carné il leggendario film Les enfants du paradis, apice della collaborazione fra il regista 
e lo sceneggiatore, poeta e anarchico 
Jacques Prévert.
Arletty e Jean-Louis Barrault in "Les enfants du Paradis"

venerdì 22 febbraio 2013

Miracolo a Milano, fra 10 anni…




“Miracolo a Milano”: perentoriamente così titolava, nel 2002, Ventiquattro, il magazine mensile de Il Sole 24 ORE, il quotidiano economico italiano più venduto e il terzo giornale d’informazione dopo Corriere e Repubblica.
L’allusione all’omonimo film di De Sica era evidente, ma finiva lì, non essendovi nulla di fiabesco nell’articolo, cui era dedicata anche la copertina del mensile, che rappresentava la festa dell’inaugurazione dei rinati Navigli milanesi, il 4 ottobre 2022. Una data significativa comunque la si guardi: è la festa di San Francesco, certo cristiano (e forse capace di operare miracoli!), patrono d’Italia, e anche dell’ambiente e degli animali, come vediamo nel celebre “Cantico delle creature”, ma uomo, a suo modo, sovversivo e utopistico.
Fin dalla copertina è spiegato poi l’anno; vi si legge “Ieri, 4 ottobre 2022, è stata inaugurata la nuova via Laghetto, a un passo dal Duomo. Una grande festa ha salutato la fine dell’operazione ‘Milano d’acqua’. Il progetto di riapertura dei Navigli era stato coraggiosamente varato vent’anni fa per rilanciare la città sulla scena internazionale”. Anche la data di nascita di questo progetto ha dell’intrigante, collocandosi quasi dieci anni prima del referendum sui Navigli del 2011 col suo clamoroso risultato del 94% di sì, e ci lascerebbe ancora nove anni per raggiungere l’obiettivo e riparare al misfatto mussoliniano (la copertura, fatte salve le altre osservazioni, fu voluta dal capo del fascismo in persona, e per battere le opposizioni si fece ricorso a irregolarità legali e a “menefreghistiche” accelerazioni).
Sorprendente infine il disegno collocato in copertina, che rimanda a un poco noto quadro di Luigi Bartezago (chiamato anche Bartezati), intitolato “Illuminazione del Duomo e della Piazza per il compimento della nuova Piazza in onore dell’imperatore Guglielmo I”, che si tenne nel 1875, anch'esso in ottobre ma dal giorno 18: la somiglianza fra le due immagini è notevolissima, anche se mancano le luminarie a terra. Il disegnatore si è ispirato al pittore oppure si tratta di un caso?
Una celebre inquadratura del film "Miracolo a Milano" (1951)
Non è un miracolo invece che a esporsi così sul tema delle acque milanesi sia stato il giornale di proprietà della Confindustria, peraltro ben conosciuto per le libere e stimolanti posizioni culturali che appaiono nell’inserto domenicale: le motivazioni, già accennate dal sommario della copertina, sono poi approfondite in modo interessante nell’articolo, illustrato vivacemente dallo stesso disegnatore. Lo riporteremo in parte quanto prima, o anche per esteso, se il quotidiano ci concede la liberatoria. Vogliamo però riconoscere, pur nella disparità delle opinioni politiche e sociali, che una imprenditorialità lungimirante a volte è possibile. Lo afferma del resto lo stesso magazine: “Fantasia al potere, ma questa volta con solide basi. Futuro che recupera il passato superando di slancio limpasse del presente. Per creare nuove, fondamentali ricadute economiche sulla città e il suo territorio”.

mercoledì 20 febbraio 2013

Cosa accadde quel giorno a Porta Tosa



Questa stampa popolare sulla presa di Porta Tosa mostra bene l’uso che si può fare delle illustrazioni e dei quadri, anche d’autore (e talvolta dipinti a memoria), che gli artisti coevi produssero su fatti o su luoghi che oggi non possiamo più vedere. Le stampe del resto, solo raramente basate su fotografie, che avevano comunque minore qualità documentaria, furono un modo frequente di dare informazioni ai lettori dei giornali ottocenteschi e cedettero il passo molto lentamente. E, se guardate con attenzione, ce le danno tuttora: anche questa che pure lascia alquanto a desiderare come “impaginazione”.
I vari protagonisti della scena non si trovano là dove ce li aspetteremmo o stanno facendo cose poco comprensibili, come il carro coperto che sembra sostare proprio durante uno scontro a fuoco e vicino al quale vediamo due cavalli precipitarsi dal terrapieno delle mura, di cui uno senza il cavaliere. Alcuni borghesi sparano da una cascina, mentre un terzo giace al suolo, non lontano dal quale si nota una macina, quasi a sottolineare la natura contadina del luogo: ma non si capisce bene cosa ci faccia lì, considerato che se l’edificio è un mulino essa dovrebbe trovarsi al suo posto, cioè lungo l’acqua, e che trasportarla non dev’essere stato facile. Il colore rosseggiante dei piccoli alberi, che sembrano proprio gelsi, è un mistero in più, anche perchè non siamo in autunno ma nel giorno 22 di marzo, come ci testimonia l’odierno corso che da qui si diparte.
Per orientarci diremo che il campo coltivato, al centro dell’immagine, si trova dove oggi s’innalza Coin; a destra vediamo l’inconfondibile sagoma di S. Maria della Passione; al centro il campanile di San Pietro in Gessate (che oggi ha di fronte il Palazzo di Giustizia), dietro al quale troneggia il tiburio del Duomo: troneggia davvero, può sembrare banale sottolinearlo, ma fino a quell’epoca doveva praticamente esser visibile da ogni parte della città, sovrastandola: non si sa se come messaggio o monito, certo come punto di riferimento, utile ai “forestieri”.
Sulla sinistra vediamo avanzare gli insorti, protetti in parte dalle barricate mobili che quel giorno ebbero una funzione forse decisiva. Ma non c’è traccia del Naviglietto di Porta Tosa, che pure non doveva essere ancora stato coperto e bipartiva il corso, in direzione est: una sorta di oggetto inafferrabile per chi cerchi informazioni sulle acque milanesi, quasi un antenato di quel Canale navigabile Milano-Cremona-Po che fu studiato dagli ingegneri del Genio civile almeno a partire dall’anno 1900, e di cui ci restano labili tracce nelle carte topografiche cittadine che lo disegnavano assieme al porto relativo, con tutti i suoi moli, come se fosse già stato aperto.
Se non abbiamo il porto abbiamo però, traccia solo nominale, la stazione del metrò che lo evoca: “Porto di mare” si chiama, e moltissimi milanesi (figuriamoci gli stranieri!) se ne chiedono il perché. Ma di questa farsa parleremo prossimamente, ricordando anche il mitico cronista duecentesco Bonvesin de la Riva che già allora lamentava il grave, per lui l’unico, difetto della città: la mancanza di un porto che possa accogliere navi provenienti dal mare. Una carenza che verrà meno quando i potenti “indirizzeranno le loro forze a compiere quest’opera con lo stesso impegno con cui ora si distruggono a vicenda ed estorcono denaro ai concittadini per sostenere le loro scelleratezze” (De magnalibus Mediolani, cap. VIII, righe 199-201).
Al momento però i potenti hanno proceduto allo scioglimento dell’ente preposto a costruirla per progettare una improbabile Cittadella della giustizia che solo gli speculatori volevano e che infatti è stata cassata ancor prima di cominciare. Così Milano non ha la “cittadella” e nemmeno la speranza di una struttura via acqua che abbatta drasticamente l’arrivo delle merci in città sulle ruote di uno sterminato esercito di Tir. Ma non è detta l’ultima parola e si può ancora sperare, a sette secoli di distanza, che Milano venga vissuta come bene comune e che la profezia si compia.
Torniamo alla stampa, che noi qui abbiamo diviso in due: l’altra metà rappresenta, si direbbe, la fuga degli austriaci, anche se non si capisce bene chi e perché stia dando fuoco alla porta. Un uomo è steso a terra e dalla posizione si direbbe, sinceramente, che dorma, nonostante il casino: nessuno comunque si sta occupando di lui, vivo o morto che sia. Poco chiara è pure la struttura idraulica complessiva, con quel voltone al centro, forse il “tombone” (che significa sottopasso, non laghetto) del Naviglietto citato. All’estremità dell’immagine è invece ben visibile un corso d’acqua di discrete dimensioni: è il Redefoss (questo il suo nome, però chi vuole può chiamarlo Redefosso; mai Redefossi, termine coniato sulla base di una paretimologia che crede di leggervi “re dei fossi”). Questo canale, uno dei tanti della nostra città d’acque, che scorre ancora, seppure in gran parte sepolto, giunge poi alla Porta Romana e lì piega anch’esso verso est: destinazione finale il Lambro, o meglio la Vettabbia, l’altro non secondario, e antichissimo, canale del quadrante di sud-est, che lo riceve prima di buttarsi a sua volta nel fiume. L’immagine del ponte che lo scavalca è una delle pochissime che lo ritraggono, tra foto e pitture, e per questo la segnaliamo, mentre evochiamo i lavori che si compivano nella cascina di cui dicevamo, col Redefoss a muovere la macina e la coltura dei bachi da seta.
Senza dimenticare però l’immagine da cui siamo partiti, testimone anche dell’altro scempio di grandi dimensioni che ha colpito la città: l’abbattimento delle sue mura, avvenuto oltre mezzo secolo prima della copertura della Cerchia interna. Eppure Roma, per dire, vive benissimo con le proprie e non è la sola!
A breve cercheremo di compiere una sorta di collage virtuale delle vedute che ce ne restano. L’ideale sarebbe una completezza che sappiamo impossibile, ma tutti sono invitati fin d’ora a segnalarci le tessere del puzzle che dovessero mancarci.

giovedì 31 gennaio 2013

I Navigli "si muovono"


In risposta alle sollecitazioni del Comitato “Milano SÌ Muove”, il candidato alla presidenza della Regione Lombardia per il Patto Civico del centrosinistra, Umberto Ambrosoli, ha dichiarato:
“La riattivazione del sistema dei Navigli, voluta dai cittadini milanesi all’esito del referendum del giugno 2011, è una grande opportunità, non solo per il Comune di Milano, ma per l’intera Regione Lombardia, sia sotto il profilo storico, che paesaggistico e ambientale.
Il Comune di Milano ha previsto nel suo Piano del territorio l’avvio di uno studio che verifichi e determini le condizioni che consentono la riapertura della rete dei Navigli della città, ripristinandone uso e navigabilità. Un progetto che non può non essere pensato oltre i confini della città, con l’obiettivo di riqualificare e recuperare il sistema idrico milanese e regionale dal Ticino all’Adda.
La Regione non potrà non accompagnare il Comune di Milano in questo progetto, mettendo in campo risorse e competenze, consentendo di proseguire nell’iter avviato con la riqualificazione della Darsena che ridarà a Milano il suo Porto storico, valorizzandone la funzione anche nella prospettiva dei Navigli recuperati e navigabili”.
Così comunica l’ufficio stampa di Ambrosoli: grande è la soddisfazione nell'apprendere la sua posizione, che poteva anche essere più sfumata, mentre qui colpisce la concretezza e l’ampiezza con cui il candidato la delinea. Se consideriamo poi che Edoardo Croci,  che del Comitato è il presidente, è candidato nella Lista di Albertini,  e che la Lega espresse a suo tempo la propria approvazione al progetto, riconfermata poi nel Consiglio comunale di Milano con una mozione che chiedeva a Pisapia e alla sua giunta di destinare alla Darsena e alla riapertura ove possibile dei Navigli nel centro della Città di Milano “una parte consistente dei 175 milioni di euro previsti per Expo 2015 per la realizzazione della Via d'acqua”, constatiamo che le tre principali forze in lizza per le imminenti regionali lombarde dichiarano la propria volontà di riportare i Navigli in vita, almeno nei programmi.
Non diverse le scelte del M5S, il movimento sarà di certo ben rappresentato nel Consiglio regionale e si può pertanto dire che nella prossima legislatura vi sarà in Lombardia una maggioranza trasversale di eletti favorevole alla riapertura, dando così seguito alla mozione n. 247 del gennaio 2012.
Visto che fra due anni la città ospiterà l’Esposizione universale, restiamo quindi in attesa che al più presto vengano prese le decisioni operative conseguenti, ricordando anche che l’Unione Europea caldeggia da tempo la rinascita del Sistema lombardo dei Navigli e delle acque naturali,  con particolare attenzione alla navigabilità, già prevista nell’Ottocento e ai tempi nostri studiata e promossa dall’Associazione Amici dei Navigli. 
Fra la prima immagine in alto, che risale al 1835, e la seconda, di nemmeno un secolo fa, le differenze, nonostante i bombardamenti sulla Ca' Granda, non sono molte e non sono poi molte nemmeno oggi. Per esempio, l'aspetto esterno del palazzo che intravvediamo all'estrema destra del quadro è ancora quello anche se ne è mutato l'uso interno.



giovedì 24 gennaio 2013

Milano acquatica: sogno o provocazione?



 Se a Milano ci fosse il mare”: era il 1995 quando con questo titolo uscì un albo a fumetti di poche pagine, ma gratuito, che aveva come protagonista l’avventuroso “professore” Martin Mystère, personaggio popolarissimo anche fuori d’Italia. Ideato nell’ormai lontano 1982 da Alfredo Castelli e pubblicato nell’omonima serie dalla Sergio Bonelli editore, il suo successo dura tuttora e Castelli continua ad esserne lo sceneggiatore, sempre meticoloso nei riferimenti culturali e territoriali. La suggestiva copertina (come le due seguenti) era opera di Lucio Filippucci e le tavole di Rodolfo Torti: l’albetto uscì su impulso dell’architetto Empio Malara, noto “navigliologo”, fondatore dell’Associazione Amici dei Navigli e da sempre sostenitore della riapertura della Conca di Viarenna/Naviglio del Vallone. 
Nel 2001 fu la volta di “In viaggio sui Navigli”, in occasione della mostra omonima, che illustrava le possibilità di navigazione da Locarno a Venezia via Navigli milanesi. La copertina riproduce l’affascinante “Scala d’acque” pavese, un ingegnoso sistema idrico lasciato oggi decadere e che aspetta la sua rinascita: il piccolo albo venne allegato al normale numero in edicola nelle copie distribuite nelle province toccate dai Navigli. In questo caso la storia è incentrata sui segreti del Naviglio Pavese nonchè sulla figura di Giuseppe Meda, pittore, architetto e combattivo ingegnere idraulico, morto in povertà nel 1599, dopo essere passato anche per il carcere. 
A cavallo fra 2011 e 2012 è infine uscito un albetto dedicato alle Cinque Giornate: “Il Naviglio battagliero”, disegnato da Alfredo Orlandi, in cui si narra la “battaglia navale” di una sessantina di milanesi che nella notte del 21 marzo, mentre si formava il governo provvisorio, giunsero in barca solcando il Naviglio di Santa Sofia per conquistare il convento di tal nome e poi il Collegio militare di S. Luca (oggi scuola militare “Teulié”), arresosi nel pomeriggio successivo. Molti allievi poi presero parte ai moti. La storia di questo albo immagina un “futuro mancato”, in cui Milano è tuttora in mano austriaca. Vi furono altre “battaglie del Naviglio” nel ‘48, di cui probabilmente una sul Naviglietto di Porta Tosa, mentre il 19 marzo altri insorti (all’angolo fra via Marcona, che portava all’osteria omonima, e l’attuale viale Premuda) si rifugiarono nei campi circostanti, bloccarono le acque della roggia Gerenzana facendo del suo letto una trincea da cui controllare le mura. Nel fumetto, in parte parlato in milanese, appaiono anche le piccole mongolfiere che in favore di vento vennero usate per inviare messaggi alle campagne.
Tempo fa poi trovammo in rete un disegno, che ora non si riesce più a recuperare e di cui quindi non abbiamo le coordinate, che decenni dopo i fatti descrisse un altro scontro in cui le barche ebbero una funzione: fu nel 1853, durante la meno raccontata e studiata delle insurrezioni milanesi, tentata da ambienti mazziniani forse vicini a Felice Orsini. Gli insorti, soprattutto operai, si scontrarono con polizia e soldati sciamando per la città in mille scaramucce, nella speranza che il popolo collaborasse: i mazziniani di Milano, però, erano in maggioranza ostili all’ideologia socialista dei rivoltosi e assistettero inerti alla battaglia, che non fu incruenta tanto che dieci soldati austriaci persero la vita. Gli arrestati furono ben 895 e sedici di loro, quasi tutti proletari, vennero giustiziati. L’immagine rappresenta uno di questi scontri, avvenuto al Laghetto dell’Ospedale.
L’editore Bonelli aveva già prima del ‘95 dato alle stampe un piccolo albo gratuito, riservato ai partecipanti alla Comiconvention Milano ‘93, contenente un insolito “quiz di ambientazione milanese”. Esistono inoltre storie lunghe di M.M. sulla nostra città fra cui una sui Magi, le cui presunte spoglie vennero sottratte da Sant’Eustorgio su ordine del Barbarossa dopo che egli l’ebbe distrutta.  Un’altra  descrive, ancor prima che venissero esplorati a fondo, i sotterranei del Castello ai quali, a giudicare dalle lettere che inviò al Moro, Leonardo potrebbe davvero aver messo mano, non come nei Navigli che poté solo ammirare e studiare, con interessanti osservazioni, dato che la Conca di Varenna era stata costruita 14 anni prima della sua nascita da Filippino degli Organi, ingegnere che operò anche al Duomo!
Ma quello che ci ha colpito è che, con lo stesso titolo dell’albo citato in apertura ma con l’esclamativo in più, nel primo quarto del ‘900 venne stampata una serie di cartoline (le si trova in vendita su ebay) che mostravano quanto belle sarebbero state le acque in città là dove non c’erano, dal Castello al Duomo e alla Scala, e ciò appunto prima della copertura della Cerchia! Le mostriamo qui con l’avvertenza che la cartolina con i barcaioli in Galleria è successiva di qualche anno e probabilmente posteriore al misfatto: come dire “voi ce li avete coperti e noi li mostriamo anche dove non è possibile!”. Questa “voglia di mare”, atavica e sentita, è stata poi materializzata anche in uno spot televisivo di un decennio fa che vedeva le acque scorrere gioiose in quel medesimo luogo. Forse la stessa speranza che ha spinto Alfredo Castelli nell’ideare e far circolare i suoi “albetti”, nel primo dei quali ha raffigurato in modo paradossale i rischi connessi all’incuria della falda freatica, che talora spinge l’acqua in superficie, anche allagando le gallerie del Metrò, ma che in certi luoghi della città potrebbe anche abbassarsi e causare cedimenti del suolo come secondo alcuni è già avvenuto nel Centro storico: il disegnatore mostra piazza del Duomo invasa dalla sabbia che risulterebbe dal disseccamento del terreno argilloso su cui poggia Milano. Quello degli “scherzi” della falda freatica è un argomento su cui dovremo tornare, collegandolo alla dissennata politica delle acque urbane, in particolare alla tragicomica vicenda del canale navigabile Milano-Cremona-Po la cui costruzione appare e scompare in modo alterno dai primi anni del Novecento.

Il Duomo in una catastrofica fantasia (immagine rielaborata da noi)
Qui sopra la Conca dell'Incoronata, dove oggi manca solo l'acqua